Il regime forfettario per le partite Iva fino a 65mila euro di ricavi o compensi non sarà cancellato. Prende, però, sempre più quota tra Governo e forze di maggioranza l’ipotesi di apportare dei correttivi per evitare possibili comportamenti evasivi ed elusivi, magari da imbarcare già nel decreto fiscale collegato alla manovra su cui viaggerà il tentativo di dare una «svolta radicale» alla lotta all’evasione fiscale annunciato ieri dal premier Conte. Tra questi si studia la possibilità di introdurre l’obbligo di fattura elettronica per i contribuenti con imposta secca al 15 per cento.
La platea delle partite Iva interessate
Una misura che, a conti fatti, potrebbe interessare circa 2 milioni di partite Iva se si considerano autonomi e mini-imprese già nei regimi agevolati (minimi e forfettari) negli anni passati, quanti hanno avviato l’attività e hanno scelto il forfettario nel 2019 (poco più di 170mila, ossia il 51,3% delle nuove aperture di partita Iva nei primi sei mesi dell’anno) e gli oltre 285mila transitari da regime ordinario nel forfettario come risulta dalle dichiarazioni Iva presentate quest’anno.
Le possibili complicazioni per gli operatori
Un ragionamento che sta soppesando anche le controindicazioni, perché si tratta di inserire un adempimento per piccoli e piccolissimi operatori che sarebbero chiamati a prendere confidenza con i software o con la piattaforma «Fattura e corrispettivi» sul sito dell’agenzia delle Entrate. La fattura elettronica avrebbe più un effetto deterrente perché i forfettari non sono soggetti Iva ma trasmettere le fatture all’amministrazione finanziaria garantirebbe una maggiore trasparenza e potrebbe evitare comportamenti illeciti.
I controlli sui finti forfettari
Del resto, già nelle scorse settimane, il Pd (adesso forza di Governo) in question time in commissione Finanze alla Camera aveva sollecitato ad accendere un faro sui comportamenti evasivi o elusivi da parte delle partite Iva: dalla traslazione del fatturato dell’attività esercitata in forma societaria a quella come ditta individuale fino alla possibilità per il forfettario di poter cedere «parte dei propri ricavi o compensi a un altro contribuente al fine di “pagare” entrambi il 15% di imposte. Sollecitazione a cui l’amministrazione finanziaria aveva risposto con l’intenzione di attivare un doppio binario di controlli: accessi in sede e attività di analisi di rischio sulla base del patrimonio informativo disponibile.
Lo stop al superforfait al 20%
L’altro filone riguarda il superforfait al 20% per ricavi o compensi da 65.001 a 100mila euro che dovrebbe debuttare il 1° gennaio 2020. Il condizionale è d’obbligo perché, come già anticipato dal Sole 24 Ore del 15 settembre, ad oggi non è stata chiesta l’autorizzazione alla Commissione europea per il regime agevolato. Però il sentiero su cui si muove il Governo è molto stretto. L’obiettivo dichiarato è quello di non aumentare la pressione fiscale e una soppressione del superforfait al 20% andrebbe sicuramente in questa direzione. Anche se per ora la misura – messa nero su bianco dalla legge di Bilancio – è solo una promessa. In quanto, come spiega anche Luigi Marattin di Italia Viva, «resta una promessa comunque vincolata a un via libera dell’Unione europea, un via libera difficile se non immpossibile a quasi tre mesi dall’entrata in vigore prevista per gennaio 2020».
Per questo la soluzione allo studio potrebbe essere quella di lasciare formalmente in vita il regime senza abolirlo, in attesa dell’autorizzazione comunitaria che comunque deve essere prima chiesta. D’altro canto, a giocare a favore di chi ne chiede l’abolizione ci sono le risorse finanziarie già impegnate che nell’arco di un triennio pesano complessivamente per 2,1 miliardi di euro.
Articolo: Ilsole24ore.it – Foto: Fisco7.it