Le reti 5G sono le reti di nuova generazione. Ognuna di quelle che l’hanno preceduta, ha aperto opportunità nuove: il 2G (Gsm) ha accompagnato la diffusione dei telefoni cellulari; il 3G ha sostenuto l’economia delle app e i primi smartphone; il 4G ha spinto streaming e messaggistica. Il 5G aumenterà la velocità con sui caricare e scaricare dati; diminuirà il tempo di latenza (cioè l’intervallo tra l’invio di un segnale a la sua ricezione) e moltiplicherà la “densità” dei dispositivi (sarà possibile connettere molti più pc, smartphone e sensori contemporaneamente e nella stessa area). Ma cosa rende una rete 5G?
Definire il perimetro delle reti 5G non è semplice, anche perché – al momento – si tratta di obiettivi più che di caratteristiche. In attesa di conferma quando la nuova generazione uscirà da laboratori e aree-pilota per arrivare in case, strade e impianti industriali. Nel 2015, la Next Generation Mobile Networks Alliance ha provato a indicare alcuni paletti. Le reti 5G devono dare “ovunque” la possibilità di scaricare dati con una velocità di almeno 50 megabit al secondo. Cioè molto maggiore rispetto alle reti mobili attuali. Quello dei 50 megabit al secondo è però solo un limite minimo.
Perché il 5G, per definirsi tale, dovrà spingersi fino a 1 Gb al secondo “in alcuni ambienti specifici”, come uffici e impianti industriali. I tempi di latenza massimi dovrebbero essere di 10 millisecondi (già dimezzati rispetto a quelli del 4G), ma l’obiettivo è raggiungere un millisecondo. Le performance non devono calare in base all’affollamento: la stessa velocità e il medesimo tempo di latenza devono essere assicurati “a decine di migliaia di utenti nelle zone più affollate, come stadi e festival” o ai lavoratori che condividono lo stesso ufficio.
Rispetto alle reti 4G, quindi, il miglioramento previsto dalla Next Generation Mobile Networks Alliance non sarà lineare ma esponenziale: la velocità si moltiplicherebbe in media di 10 volte e di 100 volte al suo picco; il tempo di latenza sarebbe oltre dieci volte più breve e la densità consentita almeno 100 volte maggiore. Proprio come le altre tecnologie di connessione, anche il 5G sfrutta antenne e frequenze. Lo fa, però, in modo più efficiente del 4G. E apre un nuovo “canale” fino a ora non sfruttato, quello delle frequenze oltre i 26 Ghz: garantiscono più velocità e minore latenza, ma sono più soggette alle interferenze. I pregi del 5G sono dovuti in buona parte alle soluzione che consentono di gestire queste interferenze.
In attesa di capire quale sarà l’applicazione “sul campo”, è già possibile farsi un’idea in base ai test compiuti in fase di test: in ambienti protetti e circoscritti come quelli sperimentali, il 5G sembra poter garantire una velocità media di 1,4 gigabit al secondo, con picchi di 5 gigabit. Per fare un confronto: oggi le reti mobili italiane consentono di scaricare, in media, 31,1 megabit al secondo (cioè 0,031 gigabit). La banda larga fissa arriva a 47,27 megabit. Il 5G dovrebbe quindi permettere di navigare, mentre passeggiamo per strada, viaggiamo in treno o in macchina, a una velocità 45 volte superiore rispetto alle reti mobili attuali e il 40% oltre quella delle più evolute reti in fibra ottica oggi disponibili.
Vuol dire scaricare contenuti anche piuttosto pesanti in modo praticamente immediato. Ad esempio, il download di un film da Netflix “pesa” 1 GB se è standard e fino a 3 GB in alta definizione. Per scaricarli basterebbero quindi un clic e qualche secondo. C’è spazio per uno streaming sempre più complesso, perché la rete permette di sostenere una definizione più elevata senza sgranare o bloccare la riproduzione. Forse saranno questi i progressi più visibili agli occhi dell’utente finale. Ma il potenziale del 5G sta soprattutto altrove.
Il “tempo di latenza” è l’intervallo che passa tra l’invio di un segnale e la sua ricezione. Nessuna connessione, neppure la più veloce, raggiunge l’immediatezza. Ce ne rendiamo conto quando facciamo una videochiamata oppure seguiamo una diretta in streaming. Neanche il 5G raggiungerà l’immediatezza, ma ci si avvicinerà molto: il tempo di latenza dovrebbe essere quantomeno dimezzato. Ma nelle performance migliori dovrebbe arrivare ad appena 1 millisecondo. In questo intervallo, il suono percorre appena 34 metri.
I segnali delle reti 5G arriveranno ovunque, collegando città che si trovano a distanza di migliaia di chilometri. Per dare una dimostrazione pratica di cosa significhi, lo scorso giugno, il ricercatore e musicista Mischa Dohler ha tenuto un concerto diffuso: lui con un pianoforte a Berlino, la figlia al microfono a Londra. Tempo di latenza: 20 millisecondi su una distanza di mille chilometri, abbastanza da poter andare a tempo cantando “I was made for loving you” dei Kiss (in versione rallentata).
La latenza del 5G comprimerà (e di molto) i tempi. Cosa vuol dire, in pratica? Le applicazione di questa proprietà del 5G sono sterminate. Diventa decisiva in tutte quelle che richiedono immediatezza tra stimolo e risposta. Basti pensare alla guida autonoma, alla rapidità con cui agisce un macchinario industriale (che diventerà più preciso ma anche più sicuro), ai videogiochi (che stanno migrando verso lo streaming). Fino alle applicazioni mediche: un medico a Roma potrà operare in un ospedale di New York grazie a braccia robotiche e connessioni veloci.
Le nuove reti saranno in grado di supportare un numero molto maggiore di dispositivi senza impattare sulla velocità della connessione. Se il 3G era un contagocce di dati e il 4G è stato un rubinetto, il 5G diventa un’acquedotto. I dati scorreranno con una capacità mai vista prima, in contemporanea. Senza intasamenti, la connessione di smartphone e pc sarà più scorrevole. Ma questo non è il principale effetto. La densità di dispositivi connessi – spiega , la Next Generation Mobile Networks Alliance sarà nell’ordine delle “centinaia di migliaia di connessioni attive simultanee per chilometro quadrato”.
Una capacità fondamentale per l’Internet of Things, cioè per ogni ambiente abitato da oggetti connessi: case private, impianti industriali in cui le macchine non avranno più bisogno di cavi, smart city in cui milioni di sensori analizzano e gestiscono emissioni, traffico, illuminazione pubblica. Sarà possibile monitorare in tempo reale ponti e opere d’arte per tenere sotto controllo il loro “stato di salute”, migliorare i controlli durante in grandi eventi incrociando migliaia di punti di osservazione, gestire in modo autonomo ed efficiente il traffico di strade, porti e aeroporti.
Un tema rilevante del 5G riguarda il metodo che questa tecnologia utilizza per rendere più sicure le comunicazioni con la cella: l’Authentication and Key Agreement (Aka). Questo protocollo – versione migliorata di quello utilizzato per 3G e 4G – potrebbe rendere l’intercettazione di un dispositivo più difficile da parte di strumenti di sorveglianza che ne consentono l’identificazione e il tracciamento come le stazioni portatili IMSI catcher (International Mobile Subscriber Identity-catcher, dall’inglese catturatori di identità per gli utenti della telefonia internazionale).
Questi dispositivi si fingono celle telefoniche in modo da essere “agganciati” dal telefono, il quale comunica la propria identità e posizione a beneficio di chi sta effettuando l’intercettazione. Tuttavia, “il protocollo Aka farà sì che l’invio dell’identità del telefono avvenga in modo cifrato e anche se questo si connette a un IMSI catcher, l’attaccante non lo potrà identificare univocamente – ha spiegato ad Agi John E. Dunn, esperto di sicurezza informatica e autore del blog Sophos -. Tuttavia, l’attaccante potrebbe utilizzare gli altri dati acquisiti tramite l’intercettazione per creare un profilo del dispositivo che si è collegato all’IMSI catcher”.
Questo fa sì, prosegue Dunn, “che sia possibile anche effettuare un downgrade della connessione (circostanza che si verifica quando un telefono con poco segnale passa dal 4G a una connessione Umts, ndr), forzando il dispositivo a utilizzare protocolli più obsoleti e meno sicuri”.
La buona notizia è che, con l’avvento del 5G, sarà necessaria “una nuova generazione di IMSI catcher che avranno bisogno di più tempo per realizzare operazioni di tracciamento che oggi pare così semplice con il 3G e il 4G -, precisa Dunn -, regalando più tempo alle strategie di difesa”.
(Ha collaborato Raffaele Angius)
Articolo e Foto a cura AGI.IT – 23 Febbraio 2019